Ultimo aggiornamento il 13 Giugno 2022
L’egresso o stretto toracico é un corridoio anatomico che consente il passaggio di strutture anatomiche provenienti dal collo e dal torace cruciali per la funzione dell’arto superiore. In particolare, dal torace l’egresso toracico riceve grossi vasi sanguigni diretti all’arto superiore (arteria succlavia e vena succlavia), mentre dal tratto cervicale della colonna riceve il plesso brachiale, un massiccio fascio di tronchi nervosi, responsabile dell’innervazione dell’arto superiore.
I tronchi nervosi del plesso brachiale passano attraverso la porzione superiore dell’egresso toracico che prende il nome di spazio interscalenico, delimitato appunto dai muscoli scaleno anteriore e muscolo scaleno medio, due muscoli coinvolti ma non indispensabili allo svolgimento degli atti respiratori e pertanto denominati muscoli respiratori accessori (Fig.1).
Per sindrome dell’egresso toracico (SET) si intende dunque qualsiasi condizione che conduca ad una riduzione del calibro dell’egresso toracico tale da risultare in una compressione o dislocazione anatomica a carico delle strutture vascolari e/o nervose che lo percorrono.
Tra tutte le patologie da intrappolamento di nervi periferici la SET è una patologia di difficile diagnosi poiché presenta segni e sintomi che mimano, seppur solo in parte, quelli di altre patologie di gran lunga più frequenti; talora é associata a quadri di severa alterazione funzionale dell’arto superiore rappresentando una vera e propria fonte di invalidità per il paziente.
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Fisiopatologia e Sintomatologia
Tra i fattori anatomici che predispongono alla comparsa dei sintomi della sindrome dell’egresso toracico sono inclusi:
- Presenza di una costa cervicale o accessori;
- Bande fibrose fasciali o tendinee esuberanti o anomale;
- Fratture della prima costa;
- Ipertrofia (aumento patologico del volume muscolare) o anomalie muscolari dei muscoli scaleni come anomalie inserzionali (ad esempio un'inserzione anteriorizzata dei muscoli scaleni sulla prima costa) o ipertrofia dei muscoli scaleni;
- Decorso anomalo di uno o più tronchi del plesso brachiale all'interno del ventre muscolare.
Tra le possibili ulteriori cause della sindrome dell’egresso toracico ci sono anche fatti traumatici (anche il classico colpo di frusta cervicale) che in alcuni casi possono innescare fenomeni di contrattura con danno a carico dei muscoli scaleni che nel tempo conducono ad un ipertrofia degli stessi; fatti oncologici (e.g. tumori della cupola polmonare, processi metastatici delle stazioni linfonodali ascellari, lesioni tumorali dei tronchi del plesso brachiale), patologie dei vasi sanguigni dell’egresso toracico (e.g. aneurismi dell’arteria succlavia).
In relazione al tipo di compressione esercitato sulle strutture che percorrono lo stretto toracico esistono diverse forme di sindrome dell’egresso toracico:
- Forma neurologica è di gran lunga più frequente (95%) e caratterizzata da una compressione sintomatica su uno più tronchi del plesso brachiale, si divide in “disputata” e “neurologica pura”; la Forma disputata consiste nella compressione o distorsione dinamica (provocata da determinati movimenti dell'arto superiore, ad esempio l'abduzione o l'extrarotazione) a carico del plesso brachiale. E' la forma assolutamente più frequente e si manifesta con dolore cervicale che si irradia dietro la scapola, davanti al petto o nel cavo ascellare e lungo l'arto superiore più frequentemente causando “formicolio” a livello della mano;
- Forma vascolare: le compressioni sintomatiche sulle strutture vascolari dell'egresso toracico sono piuttosto rare (5%). Nell'ambito di questa forma sono incluse una forma caratterizzata da compressione prevalente sulla vena succlavia (4% dei casi) e una forma più rara di compressione sintomatica a carico della succlavia (1%).
Diagnosi
La diagnosi della SET è complessa, non esiste un esame che possa confermare un sospetto diagnostico di SET, anche nella sua forma di più frequente riscontro.
Il dato più consistente a supporto di un sospetto diagnostico di SET rimane pertanto quello fornito dall’esame clinico che a sua volta dipende in larga misura dall’abilità del medico e dalla sua capacità di adottare quei test fisici provocativi corretti che possano mettere in luce ed obiettivare una compressione delle strutture anatomiche dell’egresso toracico.
Una volta appurata la presenza di un quadro compatibile con una diagnosi di SET è cruciale inquadrare lo stato attuale del danno a carico delle strutture nervose del plesso brachiale grazie ad un accurato esame neurologico.
La risonanza magnetica può coadiuvare il dato clinico fornendo preziose informazioni riguardo l’anatomia e lo stato dei tronchi del plesso brachiale lungo il loro decorso nell’egresso toracico. Per essere contributiva dal punto di vista diagnostico deve però includere uno:
Studio del tratto cervicale della colonna vertebrale che consenta di valutare i tronchi del plesso brachiale alla loro origine e che possa poter escludere patologie del rachide (e.g. ernie del disco cervicale con compressione sulle radici nervose, patologie deformative od oncologiche del collo);
Studio specifico per il plesso brachiale con sequenze durante le quali al paziente verrà domandato di mantenere le braccia sollevate sopra la testa per visualizzare la posizione del plesso brachiale rispetto ai muscoli scaleni e piccolo pettorale, dei vasi e della prima costa.
Una risonanza magnetica negativa (assenza di segni radiologici compatibili con una diagnosi di SET) purtroppo non consente di poter escludere la presenza di una compressione del plesso brachiale. Quest’ultima infatti può manifestarsi in condizioni non riproducibili durante l’esame di risonanza magnetica che viene eseguito in posizione supina (e.g. pazienti sintomatici quando in piedi con le braccia abdotte contro gravità, attivando pertanto i muscoli del collo che possono provocare una compressione dinamica sul plesso brachiale).
L’elettromiografia ed elettroneurografia possono fornire ulteriori informazioni svelando ad esempio ulteriori compressioni o intrappolamenti dei nervi periferici lungo il loro decorso nell’arto superiore come una sindrome del tunnel carpale (la compressione del nervo mediano a livello del polso) o del tunnel cubitale (la compressione del nervo ulnare a livello del gomito). In alcuni casi particolari, la SET può coesistere con altri intrappolamenti dei nervi periferici dell’arto superiore come quelli appena menzionati pocanzi configurando un quadro di cosiddetta Double Crush Syndrome (Sindrome da Doppia Compressione).
Trattamento
Il trattamento della SET, in assenza di gravi deficit neurologici, è in prima battuta conservativo e si fonda sulla fisioterapia e la riabilitazione nei casi in cui non sono presenti già alla diagnosi deficit neurologici gravi. Il é preso in considerazione qualora le strategie terapeutiche conservative non diano soddisfacenti risultati sul controllo sintomatologico
La fisioterapia è incentrata sull’educazione respiratoria ed il trattamento ed allungamento dei muscoli anteriori del collo tra cui i muscoli scaleni e sternocleidomastoideo. I farmaci antinfiammatori sono di supporto a tale trattamento ed i farmaci neurotrofici come l’L-acetil-carnitina ed il complesso vitaminico B aiutano a ridurre le parestesie ed il discomfort neurologico.
Nei casi in cui non si raggiunge la guarigione o quando i sintomi limitano significativamente le attività comuni del paziente si opta per il trattamento chirurgico. Gli interventi chirurgici volti al trattamento della SET sono molteplici e ciascuno sfrutta approcci differenti alla patologia. Questa molteplicità é legata al fatto che la SET non è definita nell’ambito di una singola disciplina medica specialistica, al contrario negli anni è stata trattata da chirurghi vascolari, toracici, plastici, ortopedici ed infine anche neurochirurghi. Ciò ha condotto allo sviluppo di strategie chirurgiche diverse influenzate dal bagaglio culturale di ciascuna tipologia di specialista.
Nella nostra esperienza, abbiamo osservato che i sintomi della SET sono dovuti in larga misura alla compressione del plesso brachiale risultante da anomalie o ipertrofie muscolari piuttosto che da deformità ossee od alterazioni vascolari. Questa compressione risulta in un processo infiammatorio cronico e nella formazione di un panno aderenziale che letteralmente incolla i tronchi del plesso brachiale gli uni agli altri aggiungendo ai danni esercitati dalla compressione quelli legati allo stiramento anomalo dei tronchi del plesso brachiale durante i movimenti dell’arto superiore.
Per questo, nella nostra pratica chirurgica, riteniamo che la fase di sbrigliamento microchirurgico delle aderenze o neurolisi dei tronchi del plesso brachiale ricopra un ruolo di cruciale importanza per garantire o comunque incrementare le probabilità di un successo terapeutico o addirittura di guarigione dalla patologia. Questa delicatissima fase dell’intervento consiste appunto nella rimozione delle aderenze tra i tronchi nervosi del plesso brachiale preceduta dalla loro decompressione attraverso una disinserzione totale o parziale dei muscoli scaleni (scalenectomia) o più raramente della costa accessoria.
L’intervento dura all’incirca 1 ora e si esegue in anestesia generale attraverso un’incisione di 5-6 cm appena sopra la clavicola. Il paziente può muovere l’arto già da subito dopo l’intervento in quanto non sono previsti tutori, gessi o ortesi per il braccio e la spalla. La dimissione è programmata per il giorno seguente l’intervento.
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